Lettera aperta al Popolo dei Pooh

di Andrea Pedrinelli

pooh_legendPoiché i Pooh mi hanno segnalato che alcune frasi scritte nell’antologia “Pooh Legend” hanno provocato fraintendimenti, per sgomberare il campo da ogni dubbio, desidero precisare il reale senso delle stesse.
E però voglio farlo con lo stesso spirito e la stessa passione con cui l’opera “Legend” è nata. Perché io sono un giornalista che ormai da anni lavora alla riorganizzazione e valorizzazione di cataloghi di artisti di grandissima qualità (Gaber in primis) e, ovviamente, al primo posto nel lavoro su “Legend” c’è stata la professionalità. Però… Voi sapete qual è stato il primo 45 giri che ho comprato, bambino, nel 1979? “Notte a sorpresa”. Insomma, ci tengo che sia chiaro che da un lato, se avessi fatto prevalere il fan sul professionista avrei certo reso un pessimo servizio anche alla storicizzazione dei capolavori dei Pooh; dall’altro lato esigo che sia messo per iscritto che “Legend” non è neppure nato in modo asettico, non poteva farlo. Io stimo e voglio bene ai Pooh, e “Legend” l’ho scritto e pensato col cuore. Nonché con la gioia di aver riscontrato nei Pooh, come persone, la stessa grandezza che trovo in loro come artisti.
Inoltre, da quando con i Pooh abbiamo approfondito la nostra reciproca conoscenza mi chiamano “fratello”: e mi piace che queste precisazioni siano dunque vergate con quello stesso amore con cui è stato lavorato “Legend”... Perché sapete, molti miei colleghi non avrebbero mai  accettato di precisare meglio frasi che per vari motivi assolutamente “normali” del nostro lavoro (la fretta e gli spazi in primo luogo) potessero risultare fraintendibili, mentre io, per la relazione che c’è fra noi ed anche per rispetto di quella (ampia, mi risulta) porzione del “popolo dei Pooh” che ha comprato e lodato “Legend”, preciso volentieri qualche passaggio sacrificato nei tempi di stampa.

 

Ma andiamo a incominciare.
C’è nel volume 3 di “Legend” un ampio spazio dedicato all’immenso capolavoro che è lo Special di Sperlonga, basato sull’album “Un po’ del nostro tempo migliore”. Che io personalmente reputo – e l’ho scritto – il vertice dell’opera dei Pooh. Per approfondire quello Special mi è sembrato giusto (e mi riferisco alla pagina 12, per andare su uno dei punti “fraintendibili”)  intervistare Roby, in quanto egli  all’epoca era il compositore principe dei Pooh. Il suo linguaggio compositivo in quel periodo era già maturo e profondo, tanto che aveva dato vita a capolavori che hanno segnato la storia del gruppo e della canzone italiana tout-court (“Pensiero”, “Tanta voglia di lei”, “Noi due nel mondo e nell’anima”, “Nascerò con te”; senza dimenticare “Alessandra” o “Tutto alle tre”, l’immensa “Parsifal” e neppure il successo di una “Piccola Katy”).
E dunque Roby, in quel periodo di cui Sperlonga ferma su pellicola l’apogeo artistico, era inevitabilmente coinvolto in toto nella crescita di un linguaggio inedito, fra profondità e comunicativa, pop e sinfonismi, echi anglofoni e portato di musica colta (in primis l’opera, che Roby ha studiato e traslato nel pop); e lo Special di Sperlonga  risulta il compendio di tale linguaggio unico, che segna i Pooh  per definizione, e che era ovvio approfondire con l’autore. Erano queste,  le parole corrette per introdurre l’intervista a Roby. La necessità di tagliare alcune righe all’originaria introduzione del virgolettato, per far spazio a delle foto, ha portato a una semplificazione che può essere fraintesa. Ma si è intervistato Roby “solo”(si fa per dire) in considerazione della portata della sua scrittura, poiché nel 1975 in “Un po’ del nostro tempo migliore” (pur in uno Special che, purtroppo, del disco non mostra il capolavoro assoluto, “Il tempo, una donna, la città”: ma chi non lo conoscesse lo ascolti, è forse il pezzo più bello di tutta la storia della musica “leggera” italiana) è un compositore già completo, e ben oltre i paletti  del “normale” compositore pop.
Apro una parentesi: va da sé che se la fortuna che “Legend” sta avendo ci porterà a una seconda edizione del lavoro, tutto questo e tutto quanto segue lo inseriremo esplicitamente nel testo, per evitare che frasi “semplificatrici” inserite senza mai nemmeno immaginare  loro possibili interpretazioni distorte, diventino “pasticci”.
Ma andiamo avanti, rimanendo al volume 3 di “Legend”: a pagina 14 si parla di “Ninna nanna” e si usa la prima persona plurale. Pure questa è una semplificazione giornalistica, null’altro, diventata involontariamente una piccola trappola. Ovviamente è sempre Roby che parla, ed è Roby che dice:  “Il brano “Ninna nanna” merita un discorso a parte. Però, attenzione, non è un pezzo lavorato in fretta. No, l’idea era diversa, volevo fare una ninna nanna corale, come poi siamo riusciti a fare in “Solo voci” (capolavoro a cappella dell’83 in cui  anche la scrittura delle armonizzazioni delle voci è di Roby, aggiungo ora che ho spazio). Però era nata una melodia a voce spiegata, ed era impossibile armonizzarla polifonicamente e in modo valido. Tanto che l’abbiamo cantata all’unisono, con l’orchestra sotto, senza armonie vocali”.
C’è poi lo stesso tipo di semplificazione giornalistica anche qualche pagina più avanti sempre nel volume 3, quando si parla della vera nascita di “Parsifal”, che ha segnato la storia dei Pooh, il loro linguaggio, il loro coraggio e il loro successo: e che giustamente per Facchinetti è una sorta di “figlio prediletto”, in cui Roby sublima in chiave moderna tutta la sua cultura musicale. Per essere precisi, la nascita di “Parsifal” in “Legend” viene riportata per la prima volta in modo chiaro, fuorché (ah, i tagli)… nell’ultimo passaggio. Dove la sintesi di un paio di righe e una traslazione dalla prima persona singolare al parlare come gruppo può ingenerare confusioni in chi legge. La verità storica però è chiara: Roby nel ’73, lavorando al disco che sarebbe stato “Parsifal”, ha portato ai Pooh l’omonima suite già compiuta in toto, da lui creata assemblando e sviluppando una serie di parti musicali che (come “Legend” riporta con dovizia di particolari) Roby stesso aveva scritto, evoluto e approfondito musicalmente nel corso di diversi anni. Poi la “Parsifal” così concepita divenne il terreno per definire in modo compiuto uno stile “Pooh” su cui si innestò ovviamente anche la grandezza degli altri componenti del gruppo, uno stile fatto però anche e soprattutto di suite, figlie in modo inequivocabile della cultura e del talento di Roby (e questo è un fil rouge di tutta la storia della band, in verità: senza arrivare a “Dove comincia il sole”, bastino “Grandi speranze”, “Il giorno prima”, “Puoi sentirmi ancora”, la stessa “Ascolta” o “Rotolando respirando”: brani in cui subito, al primo ascolto, è chiaro: sono i Pooh, e solo i Pooh possono osare tanto nel pop).
Ecco, queste sono le precisazioni dovute, che io, al di fuori di ogni ragionamento calcolatore, ritenevo doveroso mettere per iscritto. Con lo stesso amore (e la stessa professionalità da critico) che ho immesso in tutto “Legend”. Perché chi ha letto “Legend” (tanti, mi sembra, e i complimenti li vedo, li leggo, li sento) avrà visto l’affetto riconosciuto ai Pooh come band ed ai Pooh come singoli, ai loro talenti, alle loro idee, al loro crescere insieme in un confronto serrato di esperienze artistiche che ovviamente coinvolge anche il talento pazzesco di Valerio Negrini nello scrivere sempre faccende profonde senza mai essere formalmente banale.
In tutta onestà io ritengo che pochi potessero fraintendere davvero certi concetti, o pensare che la paternità di alcuni capolavori venisse sminuita o disconosciuta pur in un corretto discorso sul gruppo quale è (e doveva essere) “Legend”. Però evitare ogni rischio è sempre meglio, anche e soprattutto in virtù della serietà di un progetto che – se ci credete – ha preso un anno intero della mia vita. E inoltre in virtù del bene (avete letto giusto: il BENE) che voglio a Roby Facchinetti, Dodi Battaglia e Red Canzian, fin dai tempi in cui quindicenne facevo ore di fila pur di riuscire a vedere i loro concerti sotto al palco, magari stando pure sotto la neve... 
Ed allora, partendo da questi presupposti, qualunque frase sacrificata all’altare del “dobbiamo stringere” o del “dobbiamo chiudere per andare in stampa”, anche se la faccenda può accadere, non poteva, non doveva, risultare fraintendibile. Lo dico da professionista, e però non l’avrei scritto se i Pooh, come gruppo e ognuno con le sue qualità, non avessero segnato la mia vita: anche aiutandomi in passaggi complessi di essa.
Sarò un giornalista strano, insomma, ma questa rettifica, che potevo evitarmi, l’ho scritta con amore, come esponente io per primo del “popolo dei Pooh”. Nello specifico, poi, Roby (il più sacrificato dai pasticci delle revisioni in corsa di un’opera gigante come “Legend”)… Beh, Roby lo sa, che io anche come critico sarei un ben modesto critico se non mi accorgessi che il suo nome ricorre nella composizione dei capisaldi della canzone italiana.
Ma sarei ancora più modesto come critico se non ricordassi che una storia come quella dei Pooh è  fatta di tante cose, soprattutto di serietà. E quindi, doveva essere presa con serietà e fatta di serietà anche l’esigenza di una precisazione come questa: e spero si colga che è così che l’abbiamo intesa e stilata, cari amici del “popolo dei Pooh” e carissimi Roby, Dodi, Red.
 

Andrea Pedrinelli